Il cammino della gratitudine: il rituale dei fujenti

Santa Anastasia – Pregano, piangono, implorano: avanzano in ginocchio sino all’altare della misericordiosa Madre Santissima dall’Arco; culmina così il drammatico ed emozionante pellegrinaggio dei fujenti, devoti della Vergine dal volto ferito, segno di un lontano dolore origine del primigenio miracolo di questa prodigiosa icona. I fujenti sono pellegrini organizzati in numerosissime associazioni: dall’ultimo dopoguerra a oggi, s’è registrato un fenomeno di costante crescita, in netto contrasto con la persistente crisi dell’associazionismo cattolico. Diffuse nelle cinque diocesi campane, le associazioni censiscono un totale che oscilla dalle quaranta alle cinquantamila unità, con raggruppamenti stabili di circa 350/400 sedi. Profonde radici “mediterranee” accompagnano il culto per la Madonna dell’Arco. Risalente alla metà del XV secolo, questo rituale si manifesta in una dimensione specialissima che si fa carico oggi, nella “società del ragionevole”, di un significato esclusivo. Fenomeno religioso o fenomeno di costume? Il pellegrinaggio di questi fedeli, nell’epoca postmoderna, ha generato controversie accese da tratti polemici: del resto, la stessa chiesa ufficiale ha assunto atteggiamenti poco chiarificatori sull’accoglienza delle realtà associative che lo rappresentano. Eppure, ciò che salta all’occhio di un attento osservatore è la misticità di un rituale, che lascia posto a un universale senso di condivisione umana: la fede. Il Meridione ha edificato la sua civiltà secondo norme esclusive, un cosmo di anime dissomiglianti, che si palesa quale unicità d’espressioni generatrici, in cui le disarmonie e le contraddizioni appartengono, come sosteneva Eraclito: “ad un logos più profondo”. Il retaggio culturale del Meridione, costruito sull’arcaicità di una società contadina, che da sempre ha fatto i conti con la sofferenza e la miseria, ha innescato meccanismi unici in cui la fede è divenuta il simbolo non della salvezza nell’aldilà, ma del carico di tutte le mortificazioni morali, ed economiche, derivate dalle condizioni presenti. Dinanzi ad una società creata su radici così grandiose e peculiari, non dovrebbe destare meraviglia alcuna il rituale dei fujenti, espressione cristiana così diretta e autentica, che nel dono della fede, rende all’uomo il bene più prezioso: il libero arbitrio, perché l’immagine così familiare e amorevole della Madonna dell’Arco, madre pietosa delle sofferenze dei suoi figli, regala, a chi ha la forza e il coraggio di credere, la speranza. Il Compendio dell’Historia, Miracoli et Gratie della Madonna SS. dell’Arco, di padre Arcangelo Domenici, datato 1608, è il primo intento conosciuto di catalogazione delle migliaia di tavolette ex voto conservate presso il Santuario della Madonna dell’Arco. Il votum è un’offerta consistente lo scioglimento di un vincolo con la divinità, per un intervento miracoloso, e l’ex voto che esplicita con più immediatezza l’azione divina nel quotidiano resta, da sempre, la tavoletta dipinta con lo scenario del miracolo. Documenti di fede, dunque, che configurano una catena di grazie susseguitesi per oltre cinque secoli; ma la ricca collezione di ex voto pittorici del Santuario (più di cinquemila esemplari, nonostante le inevitabili perdite) possiede una caratteristica che rende questo patrimonio il corpus più consistente e indicativo al mondo, un continuum ininterrotto di testimonianze votive collocanti questa ricchezza dal 1499 (anno di fabbricazione della più antica tavoletta conservata) ai giorni nostri. Siamo dinanzi ad una delle maggiori raccolte d’arte, che rappresentano una ricapitolazione enciclopedica della pietà popolare. La parte più preziosa e antica risale al Cinquecento: si tratta di 688 esemplari, di cui 542 su legno e 146 su carta incollata su tavoletta (il legno resterà nei secoli, a dispetto della comparsa di nuove soluzioni, il materiale più in uso). Tuttavia, è giusto ricordare quanto, per quel che concerne l’iconografica laica degli ex voto, i nuovi studi sull’arte popolare hanno consentito, a partire dagli anni ’60, di valutare l’oggetto votivo più attentamente sia sul piano artistico e sia sul piano antropologico. Testimonianza di fede e testimonianza di una “storia altra”, che aldilà del valore artistico e sociologico, determina un legame indelebile con il nostro passato e con la nostra storia di figli di Dio.

di Elisabetta Nappo

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