15 anni per Mario Fabbrocino
Nola -Una mala che c’è anche se non si vede. E’ sempre stato questo il Dna criminale presente nel nolano, dove la presenza dei clan non è appariscente come in alcuni quartieri di Napoli, ma non per questo è meno invasiva o pericolosa. Il tratto distintivo è sempre stato quello di confondersi e mimetizzarsi tra la società, inserirsi in maniera camaleontica nei suoi meccanismi economici. I processi a carico dei diversi sodalizi che sono in corso stanno confermando a pieno questo tipo di tesi. Pochi omicidi, ma una fitta rete di complicità associata ad una grande forza intimi dativa. Con queste armi i clan tenevano in scacco il territorio. Anche la recente sentenza sul clan Fabbrocino pronunciata dalla settima sezione di Corte d’Appello di Napoli ha fatto emergere uno stato dell’arte di questo tipo. Il capo clan, Mario Fabbrocino è stato condannato a 15 anni di reclusione per una serie di estorsioni condotte con il metodo mafioso a danno di diversi imprenditori operanti nel settore edile ed in quello tessile, nel periodo compreso tra il 2004 ed il 2007. Una sentenza che conferma quella di primo grado già pronunciata dal tribunale di Nola. Unico assolto in questo processo è stato Vincenzo Auriemma di Ottaviano, difeso dall’avvocato Giancarlo Biancardi. Anche in questo caso la sentenza di appello conferma la pronuncia di primo grado. Il processo in questione è stato sopportato da un importante materiale probatorio, in particolare numerose intercettazioni. Il clan Fabbrocino come ha dimostrato anche un’altra più recente inchiesta vantava addntellamenti in ogni settore della società civile. Riusciva ad avere contatti anche con giudici tributari per accomodare contenziosi che vedevano coinvolte proprie aziende. Mario Fabbrocino, ormai detenuto da anni, veniva considerato il classico boss dei due mondi. Per un certo periodo infatti ha trascorso la propria latitanza in Argentina, fino al 1997, quando venne arrestato dalla Dia. Successivamente era tornato libero prima di essere nuovamente arrestato nel 2005 in un’ abitazione a San Giuseppe Vesuviano.